L'“enigma oscuro”. Luci e ombre dell’empatia
DOI:
https://doi.org/10.57611/qts.v1i1.120Parole chiave:
enigma oscuro, empatiaAbstract
La nozione di “empatia” ha conosciuto, negli ultimi decenni, una fioritura di studi specialistici che investono campi d’indagine eterogenei, basti pensare, a titolo esemplificativo, all’interesse che questo concetto ha suscitato nell’ambito delle scienze cognitive, delle neuroscienze, della psicopatologia e della pedagogia. Anche nel dibattito pubblico si è assistito all’emergere di una crescente attenzione nei confronti delle capacità empatiche, spesso invocate con entusiasmo quali qualità del tutto positive di cui la società contemporanea sembra essere sempre più carente, eppure la centralità che l’empatia ha assunto, in domini scientifici così come nel quotidiano, pare risolversi in un vago appello a un concetto dal senso assai sfuggevole o in un suo impiego settario e subordinato ad altri scopi. La confusione e la strumentalizzazione che ne derivano assumono una più netta configurazione sul piano etico, laddove si delinea una vera e propria polarizzazione tra coloro i quali ravvisano in essa la panacea per tutte le forme di conflittualità, antagonismo e incomprensione, a partire dalla quale dover costruire il discorso etico, e chi ne invalida in toto la valenza morale, sostenendo di doversi posizionare contro l’empatia, vero e proprio ostacolo etico, sinonimo di partigianeria, offuscamento delle proprie capacità razionali o, addirittura, di smarrimento di sé. Prima di adoperare la nozione di empatia, attribuendole funzioni specifiche e determinati compiti in virtù dei quali collocarsi nello scacchiere del dibattito contemporaneo, occorrerebbe comprendere in termini critici cosa si intenda esattamente per essa.
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