L' integrazione europea è figlia della guerra fredda?
DOI:
https://doi.org/10.53145/indiscipline.v2i2.133Parole chiave:
Europa, integrazione, impatto economico e istituzionaleAbstract
Patel ha scritto un libro importante che è anche la sintesi migliore oggi disponibile in tedesco e in inglese della storia della cooperazione europea, almeno nel senso di una compiuta panoramica pluri-disciplinare della vicenda dell’integrazione europea. Politica, diritto, economia, globalizzazione, società civile trovano tutte spazio e attenzione inconsuete rispetto a ricostruzioni più tradizionalmente istituzionali. Complessa e articolata, la sua tesi è decisamente post-milwardiana: l’integrazione europea ha avuto una funzione strumentale al rafforzamento degli Stati membri e delle loro capacità di azione nel quadro della guerra fredda. La narrativa del federalismo, dell’unione sempre più stretta nelle premesse dei trattati, di una sempre più intensa integrazione, di uno sviluppo continuo e di un sempre maggior intreccio tra Stato e istituti comunitari sovranazionali trova in questo libro una ripetuta smentita e persino una liquidazione. Il libro contiene una lucida e persino spietata disamina delle insufficienze delle narrazioni teleologiche, sovente promosse da ferventi federalisti e dalle stesse istituzioni comunitarie, di una storia lineare dell’integrazione crescente, e insiste su trascurati segnali di difficoltà sin dalle origini, come l’uscita dell’Algeria nel 1962 e quella della Groenlandia nel 1985, e sullo scarso appeal delle Comunità europee (CE) nei sondaggi degli anni Cinquanta e Sessanta. Al contempo, ne vede i molti successi, che a suo parere vanno datati soprattutto in alcuni grandi novità degli anni Settanta. La periodizzazione che ne risulta riprende acquisizioni storiografiche dagli anni Novanta in poi: ad una fase iniziale economicista della cooperazione a Sei, seguirebbe negli anni Sessanta e soprattutto Settanta una espansione politica e sociale degli ambiti comunitari, per i diritti umani, per la supremazia del diritto comunitario, per una crescente tutela del Welfare, per l’intensificazione dei flussi turistici e degli scambi tra i giovani, e per nuovi ambiti culturali. Su questa impostazione, sul rovesciamento delle narrative federaliste, si misurano i pregi del lavoro e la novità della sua prospettiva. Proverò ad esplicitare prima gli argomenti di positivo consenso e le molte virtù del libro, e poi le ragioni di un dissenso con la sua impostazione.
Riferimenti bibliografici
Kiran Klaus Patel, Project Europe. A History, Cambridge University Press, Cambridge, 2020, pp. 379 (2018).
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