Di sconfinamenti di genere e strategie di neutralizzazione dello stigma
Parole chiave:
Genere, sessismo, stigmaAbstract
Quello di genere è un concetto che, in modo quasi paradossale, e vedremo a breve perché, assume spesso, nella percezione sociale diffusa, un carattere di immutevolezza, di staticità, di astoricità. Le donne sono …; le donne fanno …; gli uomini sono …; gli uomini fanno …: concetti che vengono mobilitati e che esercitano la loro influenza ben al di là della dimensione colloquiale e leggera in cui sembrerebbero essere pronunciati. Essere, fare …: due verbi che racchiudono al loro interno richiami a teorie che per molto tempo hanno informato la lettura delle maschilità e delle femminilità (in un sistema rigorosamente binario) all’interno della disciplina sociologica. Letture dei generi essenzialiste (verbo essere) e funzionaliste (verbo fare) che ci hanno impedito di cogliere alcune dimensioni necessarie per comprendere e interpretare il genere. O meglio, che hanno rischiato di farlo. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, la nostra comprensione di cosa sia, o di cosa possa essere il genere, si è arricchita di teorie, prospettive, sguardi. Il genere come pratica continua di modifica e adattamento ai contesti e alle circostanze dettate dall’interazione (Garfinkel 1967; Heritage 1984); come elemento di un sex-gender system (Rubin 1975); che è esso stesso costituito attraverso l’interazione (Gerson, Peiss 1985); come categoria di analisi storica (Scott 1986); come uno dei molteplici assi di oppressione da leggere in una chiave intersezionale (Crenshaw 1989; Bello, Lykke, Moreno-Cruz, Scudieri 2022); come qualcosa che si fa (West, Zimmerman 1991); come prodotto del discorso stesso che lo nomina (Butler 1994; 2005); come struttura delle relazioni sociali che ruota attorno all’arena riproduttiva e che è multidimensionale (Connell 2006); come struttura sociale (Risman 2004; Risman, et al. 2018); come dispositivo sociale e discorsivo che è causa e non espressione delle differenze (Poggio, Selmi 2012). Prospettive e chiavi interpretative che restituiscono al genere un carattere tutt’altro che immutevole, essenzialistico, naturale e che ci ricordano che parlarne significa addentrarsi in una zona di confine o, meglio, in una pratica continua di sconfinamento. Sconfinamenti che non sono privi di conseguenze e ripercussioni giacché, se è indubbio che il genere ha una dimensione performativa, incarnata in (micro)pratiche quotidiane, assolutamente interazionale, non dobbiamo perdere di vista il suo portato strutturale. In altre parole, dobbiamo tentare di integrare prospettive macro, meso e micro.
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