Tempo e forma in Proust
DOI:
https://doi.org/10.53145/indiscipline.v2i2.164Parole chiave:
Filosofia del tempo, Proust, esteticaAbstract
Chi si interessa alla filosofia del tempo – perlomeno da come questa viene a configurarsi a partire dalla nota prova d’irrealtà di McTaggart – conosce bene temi e strutture per lo più discusse. Se il tempo è successione di eventi e la successione è una relazione (prima-di/dopo-di), la realtà dovrà consistere in un finito o infinito “verme” temporale. Come possibile altrimenti identificarlo con relazioni se queste non implicano l’esistenza di entrambi i termini? I fautori di tale posizione vengono spesso indicati come “eternisti”. All’opposto, si situano coloro che attribuiscono unica realtà al presente (“presentisti” la loro sigla), per i quali l’esistenza è meritata solo dal momento attuale. Ma se la decisione della natura della più (apparentemente) ineffabile delle entità è limitata all’agone fra i due – ci si potrebbe domandare – cosa ne è della vita? Da un lato, quanto ne risulta è una sorta di mondo dipinto, una collezione di “fermo immagini” senza film; dall’altro, l’esistenza è condannata al perenne passare senza che – questo il punto – si sia in grado di percepire, cogliere e appunto vivere ciò che passa. Varrebbe il commento poetico di Rebora: “perde/chi scruta/l’irrevocabil presente”. Ludwig Wittgenstein – appassionato lettore di Proust – nella sua fase matura osservava perplesso: “Potremmo provare un ardente amore o un’ardente speranza per un secondo? Qualunque cosa preceda questo secondo, qualunque cosa lo segua?” È raro – con l’eccezione appunto di Wittgenstein, e di Bergson (oramai poco letto) – che i filosofi del tempo, per lo più di tradizione analitica, cerchino sollecitazioni, indicazioni, spunti teorici dalla grande letteratura, anche quando questa ha come suo principale oggetto il regno immarcescibile di Kronos.
Riferimenti bibliografici
Gianna Gigliotti, Approssimazioni alla Recherche, Bibliopolis, Napoli, 2021, pp. 152.
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