Diversamente antropologi, egualmente filosofi
DOI:
https://doi.org/10.53145/indiscipline.v2i2.150Parole chiave:
Ernesto de Martino, antropologia, intenzionalitàAbstract
Presentare assieme i due testi sopra indicati potrà sembrare, almeno di primo acchito, andare in cerca di un confronto eccentrico. Ernesto de Martino, certamente una delle figure di spicco della antropologia contemporanea, non solo italiana, ha dedicato i suoi interessi professionali soprattutto alla magia, limitando l’ambito dell’indagine in particolare al meridione italiano. David Graeber, recentemente scomparso, docente alla London School of Economics, è stato un antropologo di decisa vocazione politica, interessandosi all’economia capitalista e alla sue conseguenze sul piano della diseguaglianza fra esseri umani; David Wengrow insegna invece archeologia comparata allo University College di Londra ed è uno dei paleoantropologi attualmente più noti, anche per la precisione e correttezza con cui seleziona i dati in nostro possesso riguardo alla vita dei nostri più remoti antenati. Se questa è la prima differenza, la seconda sembra essere ancora più marcata. Il testo citato di de Martino – non credo affatto che la considerazione sia eccessiva – è un’opera di autentica antropologia filosofica, in cui lo studioso napoletano espone le sue idee sulla natura dell’essere umano simpliciter. Ad un testo di carattere prevalentemente empirico fa quindi da pendant un’opera che conclude con una proposta di pura teoria. Quanto interessa qui mettere in rilievo sono però le analogie fra i due testi, analogie in cui le distanze si riducono non poco.
Riferimenti bibliografici
Ernesto de Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino, 2019 (1948), nuova edizione, pp. 640.
David Graeber, David Wengrow, L’alba del tutto. Una nuova storia dell’umanità, Rizzoli, Milano, 2022, pp. 736.
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